Preconflitto e conflitto

PRECONFLITTO E CONFLITTO

Alle origini del conflitto

SELF PROTECTION

La capacità di proteggersi è sempre stata un bisogno vero, che ha guidato il comportamento degli umani da millenni e ne ha garantito la sopravvivenza.

Il fatto che agli inizi questa funzione fosse delegata a strutture (come l’amigdala) che attivavano in modo“automatico” i comportamenti di salvaguardia, in modo totalmente istintivo, garantiva una percentuale di successo evidentemente elevata, dato che il genere umano è sopravvissuto.

Quando a livello cerebrale si sono formate nuove strutture (come la neocorteccia) capaci di elaborare le informazioni in modo più complesso, l’uomo ha cominciato a dare valutazioni che non sono solo quelle essenziali (lotta o scappa); ad esempio quelle legate ai vantaggi, o altri elementi molto differenti e variabili (v. Kahneman, “pensieri lenti e veloci”).

Anche questi nuovi processi sono risultati efficaci, dato che il genere umano è ancora presente sul pianeta.

Il bisogno di protezione oggi è riconosciuto e preso in considerazione solo di fronte ad episodi eclatanti, molto pubblicizzati, che creano paura, sconcerto, disorientamento; allora la gente se ne occupa addirittura troppo, ne fa oggetto di business, investe in risorse , per un certo tempo; poi cambia in base a nuovi elementi che diventano a loro volta maggiormente interessanti.

Tuttavia queste preoccupazioni non si concretizzano sempre in azioni ben strutturate, efficaci ed adulte ed in un apprendimento funzionale, ma rimangono a livello emotivo e diventano parte di uno stato d’animo generale, fino a generare un fenomeno di massa.

Normalmente, causa proprio l’informazione dominante, la gente ha dei timori generici: si sente insicura anche se non ne ha motivo; oppure si sente sicura ed è esposta a rischi che però ignora, perché non li conosce o preferisce non vederli;

in questo modo diventa vulnerabile e corre pericoli reali.

Vi sono tante situazioni, nella vita di tutti i giorni, che avrebbero bisogno di grande attenzione, di pronte reazioni, di saper prevedere i pericoli e valutarli; a tutte le età, ogni tipo di persona è esposta a diversi rischi e minacce, anche in rapporto alle attività che svolge, ai modi di vivere, ai luoghi in cui vive.

Vivere tranquilli, in modo adulto, implica che si sia consapevoli della realtà, senza nascondersi o nasconderla.

Saper osservare la realtà e vederla chiaramente da tranquillità: questa è una risposta a coloro che pensano che prendere atto di queste cose si possa tradurre poi in un comportamento ossessivo di estrema vigilanza che possa turbare la vita.

Al contrario è proprio un atteggiamento serio e consapevole che permette di prepararsi serenamente a confrontarsi con tutte le cose che possono verificarsi.

Se ci si pensa un attimo, è così per ogni cosa; la salute, la situazione dei figli, la gestione delle finanze: avere paura e non voler verificare può solo portare a non accorgersi ( o a farlo quando è troppo tardi) di cosa non va. Di conseguenza a ridurre la propria possibilità di soluzione.

L’apprendimento corretto dell’Autodifesa e la formazione della mentalità giusta devono quindi iniziare prima possibile, meglio se da ragazzi, o addirittura da bambini, per diventare poi un generatore di comportamenti naturali da adulti, in modo da non avere dubbi di fronte a realtà in cui possono sempre nascondersi dei rischi.

La protezione da minacce è prima di tutto un modo di organizzare i propri pensieri in funzione della propria sicurezza: sapere dove si è, cosa c’è intorno, cosa è importante osservare, in che modo predisporre i comportamenti presenti e futuri, su cosa poter contare, da dove vengono i possibili rischi e le minacce.

Imparare ad osservare senza pregiudizi, e al riparo da valutazioni superficiali o di comodo è una delle basi.

Pensieri come “vuoi che succeda proprio a me ?” “queste cose le mostrano solo nei film”,”non siamo mica a Londra..” etc. sono pensieri parassiti che limitano l’attenzione che diamo alla realtà che ci circonda.

L’attitudine all’osservazione ed alla descrizione accurata dei dettagli si costruisce anche attraverso lo studio, la lettura, la pratica di un attività, l’uso costante dell’attenzione e della disciplina, in ogni cosa che facciamo.

In questo la cultura familiare è fondamentale.

Poi deve seguire l’apprendimento di alcune cose di base, non molte ma sufficienti a non incorrere in rischi di conflitto e contatto pericoloso, imparando a prendere adeguate decisioni.

L’uso del corpo, posizioni, movimenti, uso di gambe e braccia, uso di oggetti sono di conseguenza correlati ad un modo di pensare capace di guidare il comportamento difensivo che NON è basato sulla forza fisica.

La forza fisica non è un parametro adeguato di riferimento, in quanto è soggetto a valutazione relativa, non assoluta.

Nessuno è “in assoluto” totalmente al sicuro e capace di proteggersi al 100%.

Ci si può difendere con mille accorgimenti e, sapendoli usare, anche con oggetti come una matita o le chiavi di casa, cose che abbiamo sempre con noi.

Gli obiettivi di un lavoro adatto a formare questo giusto senso di protezione sono:

  • Imparare a riconoscere e prevenire le situazioni che presentano rischi
  • Sapersi comportare in modo da contenere minacce o pericoli
  • Saper rispondere senza incorrere in gravi conseguenze per sé e per gli altri
  • Muoversi di fronte ad una minaccia in modo logico e funzionale
  • Reagire in modo essenziale per annullare la minaccia
  • Riconoscere e gestire i propri segnali di paura senza sottovalutarli
  • Comunicare in situazioni estreme per contenere o disattivare i comportamenti pericolosi

Abilità acquisite attraverso la pratica di discipline come le arti marziali, pur essendo molto utili per mantenere una buona reattività, la capacità di muoversi rapidamente, garantire un corpo in buone condizioni, una buona respirazione etc. non sono sufficienti: la Difesa personale è fatta di strategie di pensiero (non filosofie), modalità di organizzazione funzionale in rapporto agli ambienti, schemi adattabili a differenti situazioni, movimenti che abbiano una funzione reale, a fronte di individui veri, provenienti da contesti molto variabili in cui non ci sono le nostre regole e dove la nostra normale logica non funziona.

Già il tentare di capire qualcosa di un soggetto aggressivo, nel momento di crisi, può portare ad una situazione di poca centratura, a reazioni rallentate, a confusione o dubbi.

E solo pochi, molto addestrati sotto il profilo psicologico, sono in grado di resistere a certe pressioni.

E ancora meno sono quelli che sanno agire usando le parole in modo efficace.

Per questo la formazione riguardo la propria protezione deve cominciare subito, fin dall’età in cui l’inserimento nel mondo con una certa autonomia, la scuola, le compagnie, portano di fronte alle anomalie di comportamento, individuale e collettivo.

E sto pensando al mondo dei ragazzi in cui, sempre più precocemente si manifestano comportamenti e tendenze da cui guardarsi e in cui vi sono veri rischi (e guai dire: -”sono solo dei ragazzi”!)

Concludo portando l’attenzione al concetto di responsabilità:

la parola vuole dire “dovere/capacità di rispondere” quando vi sia una specifica richiesta.

In questo caso noi abbiamo il dovere di dare risposte efficaci per noi stessi, la nostra famiglia, le donne, i bambini, gli ambienti, i posti di lavoro.

Ed abbiamo il dovere di insegnare questo agli altri perchè il benessere e la serenità pervadano la nostra vita che è già ricca di problemi da risolvere.

Un bisogno primario: la Sicurezza

Le persone hanno, tra il loro bisogni, quello primario della sicurezza.

La sicurezza è sia una sensazione sia qualcosa di reale. E le due cose non coincidono, infatti la sicurezza “reale” si fonda ….sulla matematica e riguarda le probabilità che possibili minacce si materializzino in rischi e l’efficacia potenziale delle misure di protezione adottate.

Teniamo conto del fatto che il rischio cambia a seconda delle situazioni contingenti di ognuno, delle difese o protezioni che ho messo preventivamente in atto, o quelle eventualmente attivabili al bisogno.

Tra l’essere in sicurezza ed il sentirsi sicuri c’è una grande differenza:

quello che noi pensiamo o sentiamo, relativamente a noi stessi, all’ambiente, alle situazioni ed alle condizioni, non è necessariamente sempre vero solo per il fatto che lo pensiamo, dato che il pensiero, secondo il parere di molti, è quanto di meno affidabile abbiamo a disposizione per prendere decisioni.

Infatti da una parte è soggetto a forti condizionamenti (v. Kahneman, Pensieri lenti e veloci), dall’altra è quello di cui disponiamo e possiamo comunque usarlo al meglio, riducendo i margini di rischio.

Vorremmo quindi sentirci sicuri ed esserlo veramente senza fingere o assumere atteggiamenti di sicurezza che hanno il solo scopo di nascondere la nostra insicurezza.

Questo tema, di grande attualità, ha messo in moto molte persone che ritengono di avere chiavi di lettura interpretativa e tecniche valide. Vedremo se è proprio così.

Per quanto riguarda la sicurezza fisica , le proposte che arrivano ogni giorno da più parti ci parlano di modi per difenderci ma in modi non sempre condivisibili, sia per il tipo di comunicazione utilizzata che per i contenuti.

Molti di essi sono pregni di aggressività qualcuno si rifà a tecniche marziali o simili, altri ipotizzano che per difendersi sia necessaria una certa condizione atletica; si sente anche parlare di condizioni mentali, spesso senza sapere di cosa si parla. Altri rivolgono la loro proposta di addestramento addirittura ai bambini, pensando che sia bene allenarli fin da piccoli.

Ci sono negozi, anche non specializzati, o siti internet, che offrono strumenti descritti come efficaci (spray, manganelli telescopici, coltelli) difficili da usare senza addestramento e molto rischiosi sotto il profilo penale, però ci sono individui che preferiscono fare ricorso a questi strumenti piuttosto che magari essere disponibili a contare sulle Forze dell’Ordine.

Quando però diventa necessario difendersi, vuol dire che il rischio si è già trasformato in minaccia presente e potremmo pensare che il tempo precedente non sia stato gestito in modo efficace.

Si potrebbe concludere che se facciamo le cose bene fin da subito, nulla potrà danneggiarci. Ma non è proprio così in quanto, anche se siamo ben preparati, gli incidenti purtroppo accadono e non conta il “se ”possano accadere ma “quando ” “dove ” e “in quale contesto ”

L’ importante è considerare tre momenti il “prima”, il “durante” e il “dopo”

Nel “prima” conta il management, cioè dovrò fare delle valutazioni ( “risk analysis”) sui vari scenari (ordinari ed eccezionali) nei quali i miei asset saranno coinvolti e predisporre “piani” (in chiave aziendale “contingenti”, di “recovery” e di “business continuity”);

in chiave personale più semplicemente studiare bene la situazione, predisporre la protezione adeguata a tutti gli effetti.

Nel “durante”, dovrò agire velocemente, in base a quanto predisposto per il contenimento della minaccia e dare una risposta al rischio per contenerne l’impatto, in modo da stabilizzarmi poi nella vita normale.

Nel “dopo” sarà importante la normalizzazione che dovrà necessariamente tener conto di quanto accaduto. Spesso dopo un evento importante cambiano molte cose, che andranno valutate in modo molto serio, sia dal punto di vista personale, che operativo o strategico.

Questa attività finale, chiamata “post incident review”, è fondamentale perchè solo al momento dell’incidente o attacco, sarò in grado di misurare e valutare tutto il lavoro preventivo.

In questa trattazione si fa riferimento alle possibili minacce di natura fisica rivolte alla persona ed ai suoi asset, minacce non solo verbali da parte di aggressori ma l’analisi alla fine può essere applicata ugualmente a contesti vari.

E’ Importante considerare che esistono anche altre tipologie di minacce che possono essere rivolte alla persona: ai suoi beni, alle sue informazioni, alla sua organizzazione, alla sua struttura operativa, alla sua reputazione, al suo buon nome, alla sua immagine pubblica, alla sua storia e al territorio della persona.

Volutamente qui non prendo neanche in considerazione i possibili attacchi che potrebbero provenire dal cosiddetto mondo web (email o documenti o programmi contenenti virus – Blog o Chat denigratorie e diffamatorie – filmati personali messi in rete (sexual revenge o similari) furti d’identità, telefonate o email trappola con conseguente svuotamento del CC oppure capaci di creare debiti per la persona clonata.

Difendersi da cosa ? In che contesto ? Con chi ?

La parola conflitto ha sfumature molto varie dal disaccordo al combattimento, che è il limite che prenderemo come punto di riferimento estremo per capire proprio dove non vogliamo mai arrivare, fermandoci prima.

L’idea di mettere a fuoco in modo più completo ed esauriente questo concetto, nasce da varie esperienze di lavoro di formazione nell’ambito della safety e security, intese in generale come prevenzione e protezione dai rischi, a partire dalle situazioni più comuni.

Mettere l’autodifesa tra i bisogni vuol dire cercare di soddisfare l’elemento che presiede alla sicurezza: la garanzia di non trovarci in una situazione di preconflitto, che è la condizione in cui diventa possibile e prevedibile, anche se non quantificabile, un danno successivo.

Da cosa dipende questa situazione ? Da quali condizioni, interne o esterne ? Cosa fare per non cascarci dentro ?

Durante questa trattazione sarà necessario distinguere tra condizioni di preconflitto esterne e interne, e descrivere con molta specificità il processo che si sviluppa per portarci verso il conflitto.

La parola Preconflitto

Preconflitto è un ambito in cui rientrano tutti gli elementi che vengono “prima” di un evento che non è ancora avvenuto, che ha delle probabilità di accadere, che si può (ancora) evitare o comunque contenere nel suo impatto.

Ne fanno parte tutte le condizioni, contesti, comportamenti, atteggiamenti mentali, emozioni, informazioni disponibili in presenza di un potenziale rischio, compresa ogni componente del vissuto personale non risolto.

E’ necessario rendersi conto che purtroppo vi sono anche conflitti che devono necessariamente accadere e si tratta di quelle situazioni ormai irreversibili in cui solo un conflitto può risolvere le cose e sono inclusi tutti quegli eventi che, per la rapidità con cui si manifestano, non danno il tempo di trovare strategie di evitamento.

Nella vita delle persone il preconflitto si presenta continuamente: analizzeremo quindi gli elementi di cui bisogna diventare consapevoli per non venire intrappolati.

Il conflitto, in effetti, è una trappola: vedremo quali fattori fanno scattare la trappola ed in che modo si resta coinvolti, il più delle volte con grandi disagi e, a volte, con esiti letali.

Saper fare Quel Passo indietro

Il concetto di prevenzione è essenziale per la nostra protezione: la parola d’ordine è

“ evitare il conflitto” in ogni caso, in ogni modo possibile, dato che ogni conflitto implica dei rischi e non solo per le parti in causa ma per chiunque ne subisca delle conseguenze, dirette o indirette.

Dire “evitare i conflitti” non deve essere confuso con il comportamento di chi non li tollera perché li teme, ed assume quindi un atteggiamento compiacente o fa finta di non vedere pur di non trovarcisi in mezzo oppure fugge di fronte alle situazioni perché non sa come comportarsi, o ancora, non si vuole prendere nessuna responsabilità.

Stiamo parlando, invece, di un individuo adulto, consapevole, che accetterà anche di combattere se, dopo aver fatto veramente ogni cosa possibile per evitarlo, ne sarà costretto, e questo non causerà in lui (e in nessun altro) nessun tipo di problema psicologico.

Un adulto a volte deve saper fare compromessi, mediare, adattarsi, mettersi in posizione down, chiedere scusa etc. ma senza sentire di perdere dignità o sentirsi in alcun modo sminuito. Il suo comportamento sarà in ogni caso strategico, risultato di una scelta consapevole.

Per questo, le riflessioni che seguiranno sono indirizzate a persone che nel loro agire professionale vogliono focalizzarsi su comportamenti che comprendano anche quel “fattore umano” di cui tanto si parla.

Le esperienze di formazione che fanno parte del mio percorso professionale hanno evidenziato come ogni evento abbia una sua fase di preparazione osservabile, anche se non completamente prevedibile, e che in questa fase, che potremmo definire preliminare, è possibile, attraverso adeguate scelte di comportamento, abbassare notevolmente i fattori di rischio e temperare, se non proprio annullarne, le possibili conseguenze.

Useremo, per comprenderci, un noto sistema di riferimento chiamato Cooper’s Color Code*, utilizzato per definire il livello del rischio ed aiutare a prendere le necessarie contromisure.

Il modello è una rappresentazione sintetica dei livelli di rischio, adatta a segnalarci in che modo dobbiamo posizionarci rispetto ad un evento per garantirci la sicurezza.

Codice Bianco: calma piatta, assenza di stimoli, situazione di sicurezza, protezione garantita.

Codice Giallo: nella vita normale, fuori dalla tana, vita sociale, molti stimoli generici, vita dinamica.

Codice Arancio: segnali di disaccordo col contesto, ambiente con caratteristiche specifiche, interazione con soggetti diversi da noi, possibilità di contatto con elementi critici. Possibile Pre-conflitto, rischio medio.

Codice Rosso: Interazioni critiche nel contesto specifico, segnali di minaccia, possibile contatto conflittuale, rischio alto

Codice Nero: Conflitto in atto, possibile scontro fisico, esiti letali possibili, necessità di risorse specifiche.

Siamo in una situazione di Pre -conflitto quando le condizioni esterne presentano caratteristiche (ambientali, situazionali, etc.) tali da poter entrare in uno stato di codice rosso, cioè quella fase che precede il contatto con la minaccia.

Facendo riferimento al Cooper’s Color Code , si potrebbe azzardare l’idea che noi, nella vita quotidiana, siamo perennemente in una situazione di potenziale preconflitto, in quanto animali sociali, con l’attitudine a vivere in gruppo, confrontarsi, competere, e spesso voler dominare altri esseri come noi.

Succede che, quando le condizioni esterne assumono determinate caratteristiche, i nostri comportamenti risentono di informazioni che dall’interno ci spingono a reagire e ci troviamo in codice arancio con estrema facilità.

Quindi in noi stanno componenti che, se non sono gestite bene, portano poi al conflitto automaticamente. Ci sono persone che, anche senza esserne coscienti (o anche si, ma fanno finta di non vedere!!) vivono permanentemente in codice rosso e ne fanno anche motivo di orgoglio o di identità.

Il conflitto infatti non avviene solo perché vi sia una situazione reale che lo giustifica, ma anche per lo stato della persona in riferimento all’evento e/o verso sé stessa in quella situazione.

Vogliamo dunque analizzare le condizioni di preconflitto interne, oltre a quelle esterne: spesso, le seconde dipendono dalle prime.

E’ molto importante premettere queste considerazioni perché sono proprio le caratteristiche soggettive , ed i conseguenti comportamenti, ad innescare gli estremi di un conflitto realmente pericoloso, nella maggior parte delle situazioni.

Poi ci saranno anche componenti diverse, come l’incapacità, la non conoscenza, la mancanza di competenze, ma in fondo la componente soggettiva rientra anche nell’utilizzo sbagliato delle proprie risorse o nella valutazione errata di situazioni, o nelle scelte di strumenti risolutivi.

Se le persone cadono in trappola o scelgono di entrare in conflitto sono propenso a

pensare che esse non abbiano la capacità di fare diversamente: raramente chi è in difficoltà ritiene che questo sia dovuto ad incapacità; in realtà è una spiegazione molto logica. L’incapacità non permette di avere opzioni sufficienti.

Vediamo quali possono essere nello specifico le incapacità:

  • Capire il contesto nel quale si sta operando: sappiamo che il contesto (ambiente, situazione, necessità, scopi etc.) determina le funzionalità delle nostre azioni e dirige la scelta delle strategie
  • Creare relazioni OK-OK e mantenerle: se una relazione è paritaria farà da base portante alla comunicazione permettendo ad entrambi di esprimere valori e convinzioni senza che questo produca uno scontro.
  • Comprendere i limiti entro i quali possiamo/dobbiamo muoverci: possiamo sempre fare qualcosa ma non tutto e non tutto produrrà risultati utili.
  • Valutare le situazioni: spesso la nostra valutazione è disturbata da elementi soggettivi e risulta imprecisa, parziale, insufficiente a farci un quadro reale.
  • Ascoltare quello che dicono gli altri: altri punti di vista ci possono aiutare ad integrare le nostre rappresentazioni.
  • Ascoltare sé stessi: non sottovalutare quelle intuizioni che spesso suggeriscono qual è la via da seguire
  • Dare valore alle competenze degli altri: (non necessariamente fidarsi)
  • Superare la propria comodità: a volte basterebbe un piccolo sforzo, ma la pigrizia è grande
  • Riconoscere i ruoli: i ruoli creano ordine e chiarezza
  • Ammettere i propri errori: l’orgoglio è un pessimo consigliere
  • Comprendere se chi ci sta davanti è in grado di capire e dialogare con noi

Il Preconflitto nella vita quotidiana:

sottovalutazione, distrazione, paura, giudizio, bisogni

Siamo in una situazione di Preconflitto quando ci troviamo in disaccordo con qualcosa o qualcuno che non ci piace. Il disaccordo, di per sé non è un conflitto. Avere idee diverse, in un contesto di libera scelta, è molto accettabile. Lo diventa a causa di atteggiamenti che nulla hanno a che fare con il contenuto della discussione, piuttosto invece con un contesto interiore che questa libertà la nega, a volte a favore della sopraffazione o di affermazione di un valore al di sopra degli altri.

Possono essere idee, valutazioni, rappresentazioni, modi di esprimersi, ambienti etc.

Di fatto entriamo in un clima mentale critico o di pregiudizio.

In questo caso la nostra risposta automatica viene spesso dettata dal nostro vissuto emozionale, nel riemergere di nostre esperienze passate, soprattutto quando riconosciamo nella situazione qualcosa che va contro valori e convinzioni che per noi siano imprescindibili.

Così quando parte uno stimolo, il nostro coinvolgimento può essere così rapido da produrre una risposta fuori dal nostro controllo.

La quotidianità è un continuo innescare di potenziali conflitti che, per fortuna, il più delle volte hanno esiti innocui ed in cui accadono eventi che alterano fortemente il suo normale svolgimento.

L’esasperazione di certe situazioni in cui il rischio è “apparentemente” inesistente, ma che si sono deteriorate nel tempo a volte porta le persone ad interpretare l’abituale gestualità, o la verbalità , come intollerabile e fonte continua di “provocazioni”.

Ad esempio in ambito familiare o sul lavoro, dove le persone si conoscono molto bene, in una normale seduta condominiale, per strada, nella vita “normale” in cui l’evento appare, a prima vista, poco interessante, dato che il coefficiente di pericolosità è inizialmente bassissimo.

Non è insolito che da lì partano complicazioni che con un escalation sorprendente, arrivino a produrre danni veri.

Peggio ancora in ambito lavorativo, in cui atteggiamenti, ruoli, livelli gerarchici, scopi e visioni differenti sulle strategie da adottare, ricerca del potere, incidono fortemente sulla comunicazione tra le persone.

E poi marito e moglie, fidanzati, genitori e figli, il posteggiatore, il tassista etc. i giornali sono pieni di eventi in cui il danno viene causato non certo da delinquenti ma da persone di cui nessuno sospetta nulla, anzi i commenti a posteriori sono tutti di sorpresa:

“ sembrava una brava persona”, “ era una coppia normale”, “ tutti gli volevano bene”, oltre che i migliaia di casi di violenze domestiche, di litigi tra automobilisti o tra condòmini.

Un disaccordo tra gruppi di persone può portare ad un escalation di ostilità e ad un aumento sostanzioso della pericolosità proprio per la quantità di persone coinvolte. Le dinamiche di massa infatti sono molto differenti da quelle individuali.

Nelle relazioni interpersonali poi, che ci vorrebbe un libro solo per quelle, dovremmo mettere molta attenzione al “chi” che ci sta davanti in relazione al ruolo da assumere nel rapporto.

Nel caso di persone in stato Bambino, o che non hanno sviluppato il proprio IO adulto, bisogna stare attenti a non cadere nel preconflitto che spesso si manifesta attraverso vere e proprie trappole.

Le trappole di cui parlo sono situazioni sviluppate secondo schemi strategici da cui poi è molto difficile uscirne con la logica, il ragionamento, la buona educazione.

Per esempio una persona che vi offre un lavoro e vi fa un prezzo da amico (in nome di un rapporto amichevole) e poi invece di trattarvi da cliente, con rispetto, con garanzie etc., da per scontato che essendo un amico voi non farete obiezioni ai suoi comportamenti.

Magari se il suo unico scopo di fondo è essere riconosciuto e lodato perché bravo, ogni critica anche motivata ed espressa educatamente verrà considerata un oltraggio e scatenerà risposte cui non potrete replicare, essendo totalmente poco propenso a discutere con voi.

A lui chiedereste di tenere un comportamento da professionista che però egli non sa neppure di cosa stiate parlando. Partita persa.

Questo vale anche per persone che non hanno la vostra cultura, che hanno limiti nel ragionamento, che non sono informate sulle cose, che vedono la realtà con occhi deformati da esperienze negative etc.

In conclusione, dobbiamo sapere riconoscere chi abbiamo di fronte, altrimenti entriamo in preconflitto.

Spesso accade che le persone sappiano già quello che potrebbe accadere: e nonostante questo continuano nel loro comportamento abituale. Ad esempio, dopo essersi trovati di fronte a un comportamento violento, a volte la tendenza è di dare ancora una possibilità all’altra persona, giustificando la loro scelta con affermazioni tipo: “sarà stato un momento”, “chissà cosa aveva”, “se dovesse ripetersi allora…” etc. Il tutto accompagnato da un atteggiamento offeso o lamentoso, mai determinato.

Questo atteggiamento porta direttamente al preconflitto anche perché non è mai accompagnato da un vero stato di allerta o attenzione verso l’altro.

Di solito chi è violento tende a ripetersi: dargli un altra chance ci porta direttamente nel preconflitto. Non c’è da aver più fiducia in chi ha avuto un comportamento violento, va eliminato dalle possibili relazioni.

Emozioni

A tutti è capitato di esser arrabbiati per un qualsiasi motivo o essere infastiditi da una cosa qualsiasi e sappiamo che ogni situazione in cui ci troviamo può stimolare il nostro stato d’animo già alterato. Di conseguenza si creano i presupposti per reazioni inadeguate a fatti normali o casuali.

Proviamo a pensare alle volte in cui qualcosa intorno a noi, un comportamento di qualcuno, qualcosa che viene detto, anche se non ci riguarda direttamente ci fa scattare dentro qualcosa e ci sentiamo immediatamente coinvolti.

E meno male che, leggendo reazioni o commenti sui social network ci troviamo distanti da chi lo scrive: saremmo spesso ad un passo dalla rissa!

Voglio considerare anche certi bisogni, tutto sommato umani, come il desiderio di prevalere sugli altri (come probabile compenso), il bisogno di sentirsi forti, di difendere le maschere che abbiamo costruito nel tempo e che continuamente la verità mette a rischio. Sui bisogni rifletteremo successivamente in modo più specifico

Preconflitto e rischio

Scenari: tempi e luoghi/ codici di allarme, alcuni esempi per capirci

Cammini da solo/a, la strada è poco frequentata, in un giorno normale. Su di un muretto uno sta seduto, non fa nulla, vestito normale.

Passi e lo guardi: lo hai già guardato da lontano, o eri distratto/a ?

Lo hai notato già prima ? Sei già in codice giallo.

Lo guardi distrattamente o un secondo di più ? Potrebbe scattare il codice arancio.

Coglie lo stimolo e ti interpella ? cosa guardi ? forse con voce normale ? che distanza c’è tra voi ? Se rispondi entri in codice rosso, cioè gli dai l’opportunità del contatto. Se ti fermi il preconflitto è acclarato.

L’effetto atteso è produrre imbarazzo, contando sulla buona educazione della preda, sul suo tentativo di risposta educata ad un linguaggio volgare (occhio al dialetto), a cogliere uno sguardo diretto negli occhi: insomma cadere nella trappola.

La motivazione del possibile aggressore (bullo o quel che è ) è personale: predatore cerca vittima, studia la vulnerabilità, in condizioni di rischio, per lui, basso.

A volte l’approccio parte da un contatto apparentemente innocuo, si avvicina, si lamenta se non rispondi, ti chiede di cosa hai paura, parla con voce tranquilla (attenti al tono, alla velocità etc. ) e poi la violenza si scatena all’improvviso.

La normalità è un ottimo schermo per evitare di far capire l’intenzione.

Altro scenario:

Gruppo in cazzeggiamento, piccola lotta interna per il potere, possibile leader o aspirante ricerca visibilità a spese di qualcuno.

Stesse modalità di approccio ma con l’aspetto di una sceneggiata che si deve vedere da fuori. L’atteggiamente tende a sminuire e ridicolizzare per far vedere agli altri chi comanda.

Rischio alto di conflitto: qualsiasi risposta servirà ad aumentare l’ingaggio.

Da tener presente che gli aggressori hanno particolare abilità nell’individuare possibili prede.

Ma perché si cade nel tranello ? In che modo succede, quali sono gli ingredienti che ci vogliono per entrare in un gioco pericoloso ?

Un esempio, dal racconto di G.:(esperienza vera raccontata)

“ero fermo al semaforo in centro città. Avevo il finestrino abbassato e la radio accesa. Accanto a me una macchina con un uomo accanto al guidatore, finestrino abbassato.

Mi apostrofa “cosa fai stasera ?” Lo guardo e dato il tono normale ho il dubbio di conoscerlo. Mentre rispondo “ non lo so ancora” abbasso la radio e lo guardo: tipo rozzo, non lo conosco. Lui prosegue: “ hai denaro ?” Comincio a capire ma rispondo :” non mi mancano i soldi”

Insiste: “ma che mestiere hai fatto, il recchione o il finanziere” abbozzo una risposta poi la macchina riparte, lasciandomi perplesso.

Analisi a freddo:

Emozioni zero: il suo sistema non ha rilevato alcun rischio, e credo che le intenzioni dell’uomo fossero puramente innocue. Bene che il livello emotivo sia rimasto fuori, Ma è caduto nella trappola di un possibile ingaggio:

Intanto le modalità di approccio, in quanto apparentemente normali, mascheravano un incongruenza: uno che non conosci non ti parla così ma è stato il tono che gli ha fatto venire il dubbio di conoscerlo.

Quindi attenzione alla apparente “normalità.

Questo ha fatto leva sui messaggi dei genitori: “quando qualcuno ti parla è educazione rispondere”. Un certo imbarazzo di fronte alla maleducazione si rileva.

Il contenuto, di basso livello, è apparso secondario rispetto al “ tono educato” (cavallo di Troia ?). Infatti è stato “ comprato “ da G.

Però il contenuto, illogico, ha prodotto l’effetto ipnotico costringendolo a cercare una improbabile risposta logica.

Ipotesi: l’individuo, maleducato e forse pericoloso, aveva solo voglia di….cosa ? (pensiamoci di cosa può aver voglia un individuo simile).

Cosa sarebbe successo se G. avesse reagito in modo differente ?

Se avesse alzato la radio, o tirato su il finestrino, o risposto in qualsiasi modo ?

A me pare una tipica situazione di “ingaggio” in cui l’orgoglio o l’atteggiamento genitoriale ( ma come si permette….ma si faccia gli affari suoi… non si vergogna ad essere così maleducato ?…. chi credi di essere, stronzo….. che cazzo vuoi…. Escalation) avrebbe potuto innescare un vero conflitto.

Per fortuna o per caso, l’uomo non aveva questo programma e quella vergogna sottopelle non è stata sufficiente per dare il via all’azione, ma la debolezza c’era tutta. E aveva la sua base nel Bambino adattato, alimentato dai genitori e dai loro insegnamenti, cioè quel G. del passato cui è stato insegnato il comportamento “giusto” e che non sa vivere nel mondo adulto pensando che nel suo modo passerà indenne nelle difficoltà e soffrirà di meno. Scoprendo di volta in volta che la sua inadeguatezza si alimenta proprio così e che non lo mette affatto al sicuro.

Va detto anche che si trovava mentalmente in codice Bianco, quando già l’essere fuori casa dovrebbe far alzare la guardia.

Ringraziamo il mio amico G. per questo contributo e proseguiamo per capire meglio.

Stato dell’IO

Gli elementi base della sicurezza personale nella vita quotidiana non consistono in allenameno fisico o preparazione al combattimento, che spesso sono illusorie condizioni: sono la visione e lo stato interno.

La persona consapevole delle condizioni ambientali e che si sa ascoltare è in vantaggio perché sa stare nel Qui e Ora in modo congruente con ogni cosa faccia parte di lui.

Viene denominata “Stato del IO Adulto”la situazione di una persona che si trova ad essere integralmente presente, in cui sono allineati i concetti di “sento” “penso” “posso fare” e dove, se agisco, è perché lo voglio.

Uno stato è basato su energia: se riesco a concentrare l’energia tutta sullo stato adulto, facilmente metto in moto certe funzioni rispetto ad altre.

“Concentrare l’energia” non è un azione spirituale: avviene quando il soggetto non da spazio ai residui infantili (che ci sono sempre) né a prescrizioni genitoriali anch’esse rimaste dall’esperienza infantile, e si occupa invece di quello che sta accadendo, concentrando l’attenzione sui fatti.

Quando siamo nello stato “Bambino” partono in automatico le registrazioni della nostra vita da piccoli.

Si tratta di impulsi non mediati in cui la fanno da padrone informazioni dell’infanzia, paure, messaggi dei genitori, divieti e proibizioni, timore delle punizioni ed insegnamenti di base legati all’autoconservazione.

Il bambino è molto in contatto con sé stesso e non si sa distaccare da ciò che sente, dato che non ha barriere logiche. E’ molto sensibile e ciò che prova dirige la sua reazione. Non conosce il mondo, tutto ciò che sta al di fuori lo riferisce solo a sé stesso.

A causa di una sua limitata maturazione nel tempo, potrebbe continuare ad agire senza responsabilità, oppure mantenendo l’adattamento (e la dipendenza) ai contesti ed alle relazioni per evitare i disagi che ha già sperimentato.

LO stato “Genitore”

Porsi in modo genitoriale nei confronti di qualcuno può provocare immediatamente un conflitto con chi non sia totalmente daccordo o con chi non accetti di subire imposizioni, ordini, atteggiamento up, sottovalutazioni o giudizi su di lui.

A volte basta un gesto, un occhiata, un commento critico; la gestualità ed i toni di voce sono sempre molto eloquenti.

In origine il genitore ha dei compiti, dei doveri e delle responsabilità, in base alle quali si rivolge al bambino per educarlo, informarlo, sostenerlo, aiutarlo nella crescita, a volte obbligandolo a fare cose che non vuole perché ancora non capisce.

L’atteggiamento di estrema attenzione, a volte critica o rigida, può corrispondere al suo bisogno di efficacia.

Col tempo alcune persone mantengono questo atteggiamento anche da grandi e lo rivolgono anche a persone adulte, trattandole come bambini, perché non sanno fare altrimenti. Oltretutto ritengono che, come è stato fatto con loro, ciò vada bene anche per altri.

Non c’è bisogno di spiegare (esperienza comune a tutti) quanto questo sia fonte di disagio e di fastidio nel corso di una relazione.

Naturalmente questi stati interni sono parte di tutti noi : nei momenti liberi o di piacere lo stato del Bambino, che si diverte, che è leggero, disimpegnato etc. va benissimo, con una piccola percentuale di Adulto che gli dia dei giusti limiti e lo protegga da errori.

Forse anche nei momenti importanti, dove è richiesta la massima performance la presenza di una piccola percentuale di Stato Bambino, capace di sdrammatizzare o di divertirsinon guasta.

Lo stato dipende da noi, è una scelta, una precondizione interna con cui entra in relazione con l’esterno.

Non è sempre comodo scegliere di stare nello Stato Adulto: una reazione istintiva soddisfa di più al momento, ma non è proficua.

Lasciar sfogare la rabbia, cedere ad un impulso per il proprio piacere evitare una responsabilità…beh, a volte si fa e non è grave, sempre che non produca conseguenze rilevanti.

Però tutto ciò che non è adulto, atteggiamenti, pensieri, comportamenti, desideri, aspirazioni, ed entra in relazione con l’esterno, porta alla precondizione pericolosa di cui stiamo parlando.

Adulto/ Non Adulto, bisogni diversi

di fronte alle situazioni :

L’Adulto Non cade nei giochi indotti dall’esterno (provocazioni, trappole), non si lascia svalutare, manipolare, è lui che conduce il suo gioco. Non ha bisogno di importanza.

Nel caso di un confronto accetta l’altro senza pregiudizi, stando nel presente ed interviene, se è il caso, proponendo un altra opzione.

Si chiede: cosa posso fare,quali sono le scelte ? Cosa voglio ottenere ? Quali sono le possibili conseguenze ?

L’adulto ha una visione allargata ed uno scopo chiaro, sorretto da valori imprtanti che comprendono anche la tutela dell’altro.

La persona Non Adulta ha bisogno di togliersi il dubbio di non essere all’altezza, di sentirsi importante, di dimostrare che vale più di qualcun altro, di rivalersi di cose del passato, di mostrarsi agli altri come vuole che lo vedano. Ha una visione ristretta delle cose, il valore è soprattutto l’IO e non gli importa degli altri. Agisce per avere vantaggi SOLO per sé stesso. Questo lo porta a sottovalutare i rischi e spesso, purtroppo, a comportarsi al di fuori delle regole. Per cui bisogna prestare attenzione e non pensare che stiamo confrontandoci con una persona …come noi (!).

Tutte le risposte non adeguate a situazioni di rischio sono da attribuirsi ad uno stato Non Adulto, dalla sottovalutazione della realtà, alla difficoltà di adattamento, alle paure, all’incapacità di ascoltarsi , al lasciarsi coinvolgere, al rivivere nelle situazioni cose già sperimentate in modo doloroso.

Intendiamoci: nessuno è perfetto, Ognuno di noi ha dei limiti, qualcosa che ostacola la sua “presenza”: tutti conservano parti non maturate, legate ad un passato non risolto, ad esperienze che ancora oggi producono conseguenze; per questo tutti hanno bisogno di continuare ad occuparsi della propria evoluzione e maturazione.

Sarà quindi a volte necessaria, per ottenere uno stato adulto ed un certo equilibrio, una “decontaminazione” preventiva da convinzioni, pregiudizi e paure, ma questo fa parte di una eventuale terapia, qualora la persona riconosca di averne bisognio.

Precondizione e reazioni veloci

In noi giocano due sistemi: uno veloce, l’altro lento. (Kahneman, “pensieri lenti e veloci”)

Uno, gestito fondamentalmente dall’amigdala, responsabile dell’identificazione dei pericoli, antico, direi preistorico, va direttamente allo scopo, che è la sopravvivenza. Reazioni istantanee, non mediate in cui non vi è scelta logica. Si combatte o si scappa.

L’altro, basato su un sistema di più recente formazione (sviluppo della neocorteccia) in cui il pensiero, sviluppate alcune funzioni, ha la possibilità di scegliere sulla base di vantaggi, il che include comparazioni, ricerca di informazioni, insomma pensieri elaborati. Ovviamente i tempi sono più lenti.

Va chiarito che il sistema più lento non è prerogativa solo dell’individuo adulto. I bambini sono molto strategici e, spesso anche inconsciamente valutano vantaggi e svantaggi.

Così come un adulto ben addestrato, al riconoscimento di certi stimoli, reagisce con automatismi specifici molto appropriati e rapidissimi.

Questo dipende dal fatto che ogni essere umano attuale, indipendentemente dall’età, ha un cervello che si è evoluto in milioni di anni.

Qui però stiamo parlando di “Stato” della persona (meglio ancora di mix di stati in percentuale).

Competenza e preparazione

Dobbiamo chiarire che, di fronte ad un rischio, bisogna essere rapidi, ma questo non vuol dire non pensare. Se mai pensare rapidamente sulla base di una formazione, o un lungo addestramento.

Questo permette di non sottostare all’impulso e reagire con competenza sapendo quello che si vuole ottenere, avendo chiara la situazione, inclusi vantaggi e svantaggi.

L’Adulto riesce a dialogare con sé stesso rapidamente confrontando e facendo mediazioni tra parti di sé, alla ricerca di vantaggi per sé stesso e per gli altri. L’Adulto si pre-para.

Ancora una cosa: la visione Adulta della vita comprende, tra i valori, la tutela dei suoi simili. Questo implica che, all’atto delle decisioni, il suo comportamento dovrà tutelare amici e nemici.

Anche l’aggressore va tutelato, dai danni che lui stesso rischia e produce. L’adulto sospende il giudizio e, se è possibile, agisce per il bene di chiunque, sapendo che ogni conseguenza ricadrà comunque , almeno in parte, anche su di sé.

Orgoglio e preconflitto:

Quello che noi chiamiamo orgoglio, che è in fondo una difesa del valore del proprio io e della propria immagine, induce spesso le persone a reagire immediatamente come se il proprio io e la propria immagine potesse venir intaccata da comportamenti esterni.

E’ una trappola che fa scattare il Bambino che ha bisogno di essere riconosciuto, che vuole essere trattato da grande, che vuole essere valorizzato (da chi poi?) che intende mostrarsi più grande di quello che è, che desidera essere onnipotente, che però non ha i mezzi per dialogare con sé stesso e confrontarsi con la realtà.

Qualcuno lo ha chiamato Ego: un accessorio di cui l’Adulto non ha bisogno.

L’aggressore lo sa: sa che i deboli scattano di fronte al sospetto che il loro “finto Adulto” possa essere smascherato e corrono ai ripari accettando le provocazioni e cercando di dimostrare che non hanno paura, oppure tentando di mascherare emozioni visibilissime, nascoste sotto un atteggiamento di indifferenza, o ancora comportandosi in modo “educato” per far prevalere l’idea dell’appartenenza ad un altro livello (cosa che ad un delinquente non fa proprio nessuna impressione).Invece è una dimostrazione lampante di essere nello Stato del Bambino Adattato, penosamente incapace e timoroso.

Provocazione

Una trappola in cui cadiamo spesso

Per provocazione normalmente si intende un comportamento che la persona mette in atto allo scopo di stimolare una risposta.

Possiamo farci rientrare:

– tutto quello che può stimolare nel potenziale aggressore l’impulso ad intervenire in modo aggressivo

– un azione dell’aggressore per giustificare il suo intervento, con un pretesto qualsiasi (In questo caso la provocazione ha le sue basi nel bisogno di dare inizio ad un conflitto e nella ricerca del meccanismo di innesco)

– tutte le cose che possono stimolarci a reagire entrando nei panni della preda senza rendercene conto

Anche la possibile vittima “provoca” in modo inconsapevole attraverso atteggiamenti o comportamenti che, manifestando la sua vulnerabilità, si prestano ad essere utilizzati come starter da individui che non aspettano altro e che proprio cercano la vittima.

Ma cosa può essere provocatorio da parte della possibile vittima cioè mettendosi nei panni del bambino adattato, sofferente, vulnerabile ed incapace di reggere il confronto con la realtà in modo flessibile.

Alcuni Esempi:

  • mostrarsi (essere) impacciati
  • rispondere educatamente, scusarsi rispondere in lingua rispetto al dialetto
  • voltare le spalle
  • guardare una persona negli occhi, o guardare e poi distogliere lo sguardo
  • darle il tu invece che il lei, o il contrario
  • accelerare il passo facendo finta di non sentire
  • giustificarsi facendo l’innocente
  • fare delle cose sentendosi al sicuro (in auto) poi trovarsi esposto alle reazioni
  • non rispettare le consuetudini culturali ritenute essenziali in un certo contesto.
  • calarsi in atteggiamento down

al contrario mettendosi in posizione UP, o nei panni del Genitore normativo rigido e giudicante, ad esempio:

  • mandare a quel paese, mostrarsi arroganti
  • rimproverare o rivolgere una critica
  • reagire con rigidezza
  • appellarsi alle regole
  • giudicare
  • usare un linguaggio volgare

Bisogni:

Ci sono persone che hanno un intimo bisogno dei conflitti per le più svariate ragioni, e questo bisogno diventa un potente motore di comportamenti a rischio, una fonte di energia di cui la persona sente il bisogno per attivarsi.

Fondamentalmente la base è la rabbia (anche non sua ma assunta inconsciamente da altri), ego, ribellione per adattamento: in sostanza la mancata evoluzione verso una condizione adulta. Possiamo metterci anche conflitti di identità interni che vengono percepiti con grande disagio a cui cerca di reagire ed in cui l’affermazione di identità è prioritaria.

Gli atteggiamenti conseguenti saranno tesi a dimostrare che si è….forti, adulti (falsi), superiori, diversi dai genitori, capaci di sovvertire le regole, padroni del mondo circostante.

Anche l’affermazione di un valore e la sua tutela possono giocare lo stesso ruolo.

Lo scopo potrebbe essere quello di nascondere altre cose, affermare una leadership, rivalersi di qualcosa che fa parte della storia della sua vita o della sua famiglia o a volte solo una banale, ma non per questo non importante, ricerca di vantaggi.

L’origine dell’atteggiamento può ritrovarsi nell’essere arrabbiati (per svariate ragioni), nel replicare conflitti vissuti in famiglia, che portano ad avere modelli culturali violenti, o nella mancanza di crescita ed evoluzione che dia modelli alternativi adulti.

In un confronto, questi individui percepiranno la realtà attraverso alcuni loro bisogni:

  • affermazione di identità, dove il conflitto è ritenuto necessario per sentire di esistere.
  • sostenere alcuni valori giudicati imprescindibili, su cui basano la propria posizione esistenziale
  • ottenere vantaggi SOLO per sé, a scapito di chiunque altro e contro ogni ragionevolezza
  • utilizzare il conflitto come motore, fonte di energia, in alternativa all’apatia o all’incapacità di motivarsi in altro modo (reazione strategica appresa sicuramente nell’infanzia).

E’ molto facile incontrare persone così: le loro modalità di comportamento li portano anche al limite della legalità, avendo una spesso una base culturale bassissima ed una condizione affettiva molto carente.

Chiaro dunque che il semplice contatto con queste persone potrebbe porci direttamente in pre-conflitto e dovremo fare appello alla nostra capacità di gestire in modo adulto la relazione.

Atteggiamenti

Le persone spesso si presentano agli altri (e purtroppo a volte anche a sé stessi, come barare al solitario) attraverso forme di espressione nel tempo costruite e che hanno sostituito il loro vero sé. Sui motivi si può ragionare a lungo, ma certamente la ricerca e l’accettazione del vero sé sono spesso il percorso di una vita.

Nello specifico, è molto rischioso interfacciarsi attraverso schemi costruiti per mimetizzare la propria vera personalità.

Atteggiarsi a persona forte, e non esserlo veramente è un gran rischio, dato che poi alla prova, di fronte ad un vero duro non c’è storia.

Fare il disinvolto per coprire una personalità fortemente adattata (dipendente e fragile) non risulterà credibile a chi sia abile nel identificare le vittime.

Peggio ancora quando ci si creda veramente e non ci si renda conto del rischio che si corre continuamente.

Costruire ed allenare questi atteggiamenti è un lavoro continuo e passa attraverso l’assunzione di modelli, quasi sempre provenienti dall infanzia/adolescenza. E poi tutto si attiva in automatico.

Se io vivo dentro di mé la modalità Tex Willer, magari assunta da bambino attraverso fumetti e riempita di valori (giustizia, rigore, superiorità, etc.), gradualmente questa diventerà l’atteggiamento con cui mi presenterò agli altri e sostituirà la mia vera identità (che comunque esiste), convinto di ricavarne solo vantaggi.

In parole povere il soggetto parzialmente vive in un mondo di fantasia.

Scelte di questo tipo sono inconsce e vengono fatte perché appaiono come la risposta più conveniente rispetto ai propri bisogni emotivi di quel momento di crescita.

Il problema è che molto spesso quello schema di comportamento non sarà adatto ad operare efficacemente nel mondo reale, soprattutto dove si richieda lucidità, efficienza, senso della realtà e modalità adulte.

Tutto ciò mette la persona nel rischio costante di cadere in una trappola, sentirsi forte senza esserlo, credere di essere al sicuro , non accorgersi del vero pericolo, sottovalutare situazioni, scegliere soluzioni inadatte etc.

Oltretutto la maggior parte delle forme di addestramento sono solo apparentemente efficaci, ed il loro limite si evidenzia quando si opera nella realtà, dove non ci sono regole, arbitri, né tempo per “studiare la strategia”, le intenzioni sono diverse o dove l’avversario vuole veramente solo farci del male e senza una logica comprensibile da noi. E non si fermerà se non quando ci ha massacrato.

Ma tu, da che parte vuoi stare ?

Le persone non amano perdere né sentirsi deboli. Se si sentono deboli inventano identità di copertura, fanno finta, si atteggiano a forti. Ciò è molto pericoloso.

In presenza di un potenziale aggressore a volte può succedere che la vittima accetti il confronto proprio perché vorrebbe essere lui l’agressore, quello forte, e cerca di esserlo anche se non fa per lui. Così risponde, discute, entra nell’azione.

Quello che sta accadendo è che ha rinunciato alla sua vera attitudine, alla sua diversa educazione, alla serietà, ad un comportamento civile, e cerca di mettersi sullo stesso livello dell’aggressore, accettando così il gioco in cui è destinato a soccombere.

E’ veramente importante che le persone sappiano stare dalla parte giusta con coerenza, dimostrando all’altro che non intendono far parte di quel mondo di cui non condividono i valori, i comportamenti e gli intendimenti.

Se una persona ha dei dubbi in proposito, meglio che si chiarisca sui motivi per cui la violenza, la prevaricazione, l’uso della forza in fondo non gli dispiacciono, perché questo gli impedirà di prendere una posizione chiara e ferma.

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